Nel corso degli anni, mi sono spesso sorpreso durante le mie conversazioni con i produttori. Due ingredienti che non sono mai mancati sono sicuramente divertimento e sgomento, soprattutto ascoltando le storie legate ai prodotti alimentari.
Quante cose si possono scoprire facendo quattro chiacchiere davanti ad un buon piatto caldo.
I racconti che preferisco sono legati al territorio, alla cultura popolare, all’agricoltura: dedicati alle persone semplici. Una delle storie che più mi ha colpito è quella legata alla scottona. Oggi tutti la riconosciamo come un’ottima carne di vacca che non ha mai partorito, ma una volta non era altro che un animale “difettoso”, non in grado di portare avanti una gravidanza.
Approfondendo l’argomento, ho scoperto che esiste una distinzione tra “carni fredde” e “carni calde”: le prime contraddistinguono gli animali anziani, che offrono un prodotto di minor tenerezza e quindi di minor pregio; le seconde sono ricavate dai bovini giovani ed in calore, quindi non ancora ingravidati. Da qui deriva il termine “scottona”, ovvero carne proveniente da un animale bollente, in calore appunto.
A pensarci bene, c’è una sorta di amarezza in questa storia; il nome pare una beffarda consolazione, un modo più delicato per definire un bovino privo di qualche qualità. Non fertile.
Potevamo tranquillamente chiamarla “frigida”, la sostanza era quella. Ma abbiamo preferito una maniera più simpatica per ricordarci che da un’iniziale situazione problematica è nato un prodotto di altissimo pregio.
